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Don Giovanni

Il primo Don Giovanni di Gluck ad approdare al Teatro alla Scala non fu quello  settecentesco di Gasparo Angiolini (che infatti non vi approdò), bensì quello, del 1959, di Léonide Massine. Il grande coreografo fiorentino che aveva affiancato Christopher Willibald Gluck, nel 1762, a Vienna, nella sua risolutiva riforma del melodramma, e che aveva a lungo polemizzato con Jean Georges Noverre per la primogenitura del cosiddetto ballet d’action (prototipo del balletto moderno), giunse alla Scala nel 1779, al culmine della sua notorietà; vi allestì una trentina di balli distribuiti in dieci anni, salvo i suoi due capolavori: la Semiramide e appunto Don Juan che era nato a Vienna nel 1761.

Più di due secoli dopo Massine volle riprendere alla Scala quel ballet d’action – forse il più rappresentativo nella storia della danza -; ne mantenne il libretto che anche Angiolini aveva (in parte) espunto da Moliére e ne ridusse i personaggi a Don Giovanni (Mario Pistoni), Sganarello (Riccardo Brigo), Donna Elvira (Carla Fracci, poi Vera Colombo), il Fidanzato (Amedeo Amodio), il Commendatore (Ugo Dell’Ara), più alcuni servi, camerieri, briganti, un fantasma, una furia, un pastore e un demone. Al balletto, diretto sul podio da Luciano Rosada, prestò la sua creatività, l’ucraino Georges Wakhévitch  (Odessa, 1907-Parigi 1984), scenografo e costumista. Dopo le otto recite in una serata che comprendeva Jeu de Cartes per la coreografia di Luciana Novaro e La Giara allestita da Margherita Wallmann, il balletto non fu più ripreso, se non nel 1977 da Aurelio Milloss che ne fece, guardando non a Massine bensì ancora a Gasparo Angiolini, un coreodramma in tre quadri.

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