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Boris Godunov

Il 16 aprile 1927 alla Scala va in scena il Boris Godunov di Musorgskij, opera russa di soggetto storico ispirata all’omonimo dramma di Puškin. Dirige Toscanini che affida la regia di questa nuova edizione a Aleksadr Sanin e  i bozzetti delle scene e degli attrezzi a Nicola Benois.

Una collaborazione che conferisce all’opera un’ambientazione più consona dei luoghi e dei tempi, come rileva il critico dell’”Ambrosiano”: “A mettere in luce la fisonomia puramente russa del Boris Godunoff si è voluto in questa sua quinta ripresa scaligera che con l’elemento musicale collaborassero più intimamente gli elementi pittorici e decorativi, che dell’organismo teatrale formano parte integrante” (18.4.1927). Nella recensione del “Corriere della sera” (17.4.1927) si sottolinea la grande abilità di Sanin nel “tradurre in atto scenico gli atteggiamenti interni della composita anima russa collettiva, della sua sottomissione supina e della sorda rivolta, della mistica ingenuità e della barbara coscienza, di cui Moussorgskij cercava ‘i tratti sottili, difficili a penetrarsi’”. Le scene di Nicola Benois, innovative e misurate nella vivacità dei colori e degli armoniosi contrasti, sono apprezzate perché adatte a incorniciare “le masse agenti in modo da condensarne gli effetti”. Il compito di interpretare il ruolo del protagonista si è rivelato alquanto arduo per il baritono Carlo Caleffi, che si è esibito in un’epoca in cui è ancora vivo nel pubblico il ricordo di Šaljapin nell’entusiasmante interpretazione in italiano del personaggio di Boris Godunov per l’edizione del 1909.

La ripresa dell’opera nella stagione 1934-35 ha lasciato piuttosto tiepidi gli spettatori per la parte musicale, diretta da Antonio Guarnieri. Il critico del “Popolo” (5.2.1935) giudica l’interpretazione di Sigismondo Zaleksi nelle vesti di Boris” “scialba e manchevole” e si rammarica che sia risultata ben diversa dalle “piacevoli interpretazioni” di cui il cantante aveva dato prova nel passato. Elogi sono rivolti invece agli altri interpeti, tra i quali il tenore Aleksandr Veselovskij per “lo sfoggio nella parte del falso Dimitri di efficaci mezzi sonori” e il baritono buffo Evgenij Ždanovskij nei panni di Varlaam, monaco vagabondo, “veramente encomiabile per il senso piacevole e misurato del grottesco, realizzato con arte magistrale”.

L’edizione presentata alla Scala il 28 dicembre del 1949 è particolarmente apprezzata da gran parte della critica che elogia la direzione impeccabile e la regia di Issay Dobrowen. Unico rammarico, unanimemente condiviso, è che l’opera sia stata presentata non nell’esecuzione originale di Musorgskij del 1874, ma nella versione riveduta e strumentata da Rimskij-Korsakov.  Apprezzamenti anche per i cantanti. Lusinghiera viene definita  l’interpretazione di Boris Christoff nel ruolo di Boris Godunov. Di Aleksandr Veselovskij, questa volta nel ruolo di Šuiskij, e di Angelika Kravčenko, nei panni dell’ostessa come nell’edizione del 1927, dove era stata apprezzata per i rilievi caratteristici che aveva dato al tipo scenico del suo personaggio, si sottolinea la prontezza e la sicurezza con le quali assolvono al loro compito (Corriere della sera 28.12. 1949).
Quattro anni dopo, il 30 aprile 1953, va in scena l’edizione affidata alla regia di Tatiana Pavlova , alla coreografia di George Balanchine e alla direzione di Antonino Votto. La critica esprime giudizi entusiastici sulla regia. Orio Vergani apprezza la sensibilità teatrale della regista, che ha saputo evidenziare questo elemento nello spettacolo dell’opera (Corriere della sera 1.5.1953), mentre Teodoro Celli su “Oggi” (14.5.1953) sottolinea il magnifico talento della Pavlova, che si è manifestato pienamente nella capacità della regista di imprimere vitalità all’imponente coro e di seguire con altrettanta efficacia e attenzione, proprio come per gli attori negli spettacoli di prosa, l’interpretazione dei personaggi principali, dei coristi e delle comparse.  Non condividono gli entusiasmi dei colleghi i critici Pestalozza dell’”Avanti” (1.5.1953), che riscontra una discontinuità espressiva nella regia, Beniamino Del Fabbro che  ritiene la Pavlova non ancora in grado di cogliere le peculiarità della regia di un’opera lirica  (Milano Sera 1.5.1953)  e Alceo Toni, che non apprezza la presenza nello spettacolo delle numerose comparse ammassate “confusamente e caoticamente” (La Notte 2.5.1953).

Nicola Benois firma, come per le edizioni precedenti, i costumi, che richiamano la foggia tipica dei pesanti mantelli ricamati come le vesti e gli scialli variopinti delle contadine, e le scene d’impianto tradizionale che ricostruiscono l’illusione di un’ambientazione storica con chiese a cupola e interni riccamente decorati. Tutto è all’insegna di un’architettura monumentale che  Orio Vergani avrebbe voluto più ariosa e meno schiacciante, in particolare nella scena dell’incoronazione sulla piazza del Cremlino. Tuttavia comprimendo la scena, apparentemente gioiosa, caratterizzata da colori vivaci, ma sovrastata da un cielo minaccioso, Benois riesce a trasmettere l’idea della natura tirannica del potere: un senso di oppressione che pervade Boris Godunov in preda a oscuri presentimenti. Una cupezza che si manifesta in tutta la sua drammaticità nell’atto conclusivo, dove, nella sala della Duma in penombra e con un soffitto incombente, lo zar è sopraffatto dall’angoscia e dal delirio.  Molti elogi hanno accompagnato l’interpretazione di Nicola Rossi Lemeni, che saputo rendere con realismo efficace gli stati d’animo del protagonista; non è passata inosservata l’interpretazione di Disma De Cecco nel ruolo di Marina: “composta nella fierezza e toccante nell’abbandono” (Corriere della Sera 1.5.1953). Boris Godunov è una delle opere rappresentate con maggiore frequenza alla Scala.

Nell’autunno del 1964 va in scena un’edizione allestita interamente dal Teatro Bol’šoj di Mosca e nel 1967 un Boris, nato dalla coproduzione italo-russa, nell’ambito dell’interscambio artistico Scala – Bol’šoj. Per cause di forza maggiore il direttore d’orchestra e il regista russi, già scritturati, non possono mantenere fede ai loro impegni e sono sostituiti all’ultimo momento dal regista bulgaro Peter Štarbanov e dal direttore polacco Jerzy Semkov che hanno assolto brillantemente il loro compito. Sul palco una presenza composita di artisti, tra gli altri la russa Irina Arkipova nei panni di Marina e il famoso basso drammatico bulgaro Nicolai Ghiaurov, che per la prima volta interpreta alla Scala il personaggio di Boris, entrambi elogiati da critica e pubblico. Nicola Benois firma scene e costumi anche per l’edizione del 1967, presentando un allestimento scenico rinnovato, dove lo scenografo, secondo il critico del “Corriere della sera” si è “quasi superato nell’invenzione fantasmagorica degli interni e degli esterni specialmente pittorici e architettonici, concepiti in un amalgama di prospettive e di policromie abbaglianti” (13.12.1967). Questa opinione è pienamente condivisa da Alceo Toni, colpito dalle scene “monumentali e pittoresche, fantasticate certo nel ricordo e nella nostalgia della sua Russia, sua patria” (La Notte 13.12.1967). Si discosta dal tono elogiativo la recensione apparsa sull’”Avanti”, dove Roberto Zanetti se da un lato condivide la concezione che sottende al disegno degli interni, “dove magnificenza  e quantità di elementi decorativi fungevano quale forte contrasto con la miseria, l’infelicità e le allucinazioni di Boris”, trova retorici, maldestri  e vecchi gli esterni “con la costante incombenza del Cremlino”. Anche i costumi, pur ricchi e sontuosi, non incontrano pienamente il gusto del critico perché riflettono il “senso oleografico peculiare dell’allestimento” (13.12.1967).  A poco più di dieci anni di distanza da questa edizione, la stagione scaligera 1979-80 verrà inaugurata da una nuova messa in scena del  Boris Godunov, con la direzione di Claudio Abbado,  la regia di Jurij Ljubimov e le scene e i costumi di David Borovsky (cf. V. Crespi, Borovsky alla Scala, Amici della Scala 2008).

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