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Ida Rubinstein

Foto di Ida Rubinstein in Le Martyre de Saint Sébastien (1911)

Foto di Ida Rubinstein in Le Martyre de Saint Sébastien (1911)

Nata a San Pietroburgo nel 1885 (o 1880) da una ricca famiglia ebrea, rimasta presto orfana, Ida Rubinstein cominciò la sua carriera artistica da dilettante senza formazione alcuna, esibendosi in spettacoli privati da lei stessa prodotti, come Antigone (da Sofocle, 1904); dopo un veloce apprendistato in recitazione, mimo e danza, prese parte a una “scandalosa” Salomé (di Oscar Wilde, 1908) su musica espressamente composta per lei da Aleksandr Glazunov e con la coreografia di Fokin. Lo spettacolo fu censurato dopo la prima rappresentazione, ma la Rubinstein aveva trovato nel giovane e già famoso metteur en danse di questa pièce, anche ballerino e insegnante ai Teatri Imperiali, il suo primo e unico maestro.

 

Fokin, con il quale approdò per la prima volta a Milano nel 1911, le impartì lezioni private nella città russa dove entrambi erano nati, che non furono però sufficienti a trasformarla in una ballerina. In realtà, Ida divenne una sorta di performer ante litteram, di teatrante “fisica”, difficile da gestire per quei coreografi che puntavano soprattutto sulle doti tecniche. D’altra parte godeva di una straordinaria bellezza, che sapeva far diventare androgina; era con naturalezza “diva” e “prima donna”; Fokin non ebbe difficoltà a farla scritturare subito da Sergej Djagilev nei suoi nuovi Ballets Russes. E va riconosciuto che il successo immediato e folgorante  della compagnia alla sua prima apparizione, nel 1909, a Parigi, si dovette – oltre che ai grandi ballerini Vaslav Nijinskij e Tamara Karsavina – anche a lei, la protagonista della Cléopâtre di Fokin, e nella stagione successiva del 1910, la Zobeide di Shéhérazade, sempre firmata dall’amico coreografo.

Al Teatro alla Scala i due balletti, prodotti della neonata compagnia Ida Rubinstein, alle quale prendevano parte anche Fokin e Léon Bakst, che avevano assecondato il suo progetto,  portarono scandalo e censura; la  reazione moralistica nascondeva in realtà il rifiuto di un genere nuovo, quello che i Ballets Russes stavano affermando a Parigi.
Non deve stupire se, proprio al culmine del successo francese della celebre compagnia, la Rubinstein decise di lasciare Djagilev, l’impresario colto e tirannico che l’aveva lanciata. Molto ricca, poteva sacrificare la sicurezza alla libertà per cercare una strada sua come direttrice artistica, mecenate, e attrice-performer che in fondo disdegnava la purezza della danza. “Un mestiere”, diceva, “e non la creazione di un personaggio…il cavallo e la danzatrice non guadagnano a mostrarsi a riposo”.
Lei invece dava il meglio di sé nell’immobilità fatale, o nella recitazione senza movimento, ad esempio del San Sebastiano en travesti del famoso “Mistero medievale” (Le martyre de Saint Sébastien). Tra il settembre 1910 e il 2 febbraio 1911, data del debutto parigino, la drammatica pièce musical-teatrale legò in un processo di febbrile creazione Gabriele D’Annunzio, Claude Debussy, Léon Bakst, Fokin e la stessa Rubinstein, anche mecenate dell’ambizioso spettacolo portato e diretto con grande successo alla Scala da Arturo Toscanini nel 1926. Il grande direttore d’orchestra avrebbe voluto riallestire di nuovo il Sébastien dannunziano, nel 1940, sempre sul palcoscenico del Piermarini, ma fu la guerra a impedirglielo.

Amata dal Vate, nonostante le sue chiacchierate predilezioni saffiche, venerata da Jean Cocteau e dalla scrittrice Colette, dopo il San Sebastiano Ida fu Elena di Sparta (di Verhaeren, 1912), Musa della Nuit de mai (di de Musset, 1920), ancora Cleopatra (in una rielaborazione da Gide del 1920), Artemide, Margherita Gautier in La dame aux camélias (di Dumas, 1923) e la Sfinge in Le secret de Sphinx (di Rostand, 1924). Personaggio controverso, la Rubinstein attirò su di sé anche veri e propri attacchi ad personam. In un articolo significativamente intitolato “Un duello con Ida Rubinstein” (1926), il regista e intellettuale Anton Giulio Bragaglia scrisse di lei che “non sapeva fare altro che stare adagiata brillantemente”. E chissà se questo giudizio italiano non ebbe a influire sullo scarso successo della seconda apparizione scaligera della Compagnia Ida Rubinstein, nel 1929.

Per questo secondo gruppo, fondato nel 1928 (il primo, con la collaborazione di Fokin e Bakst era durato tre anni), la diva volle come coreografa Bronislava Nijinska, sorella del grande Vaslav e artista straordinaria a sua volta, con la quale portò alla Scala La principessa Cigno, Le nozze di Amore e Psiche, Notturno, La Bien-Aimèe e oltre a David ancora di Fokin, tre titoli per i quali la storia della danza e non solo del balletto le sarà sempre universalmente grata: Bolero, Il bacio della fata, La Valse.
Balletti dalle musiche meravigliose di Ravel e Stravinskij (Il bacio) continuamente ripresi e sino ad oggi da coreografi diversi: balletti che lei stessa aveva commissionato con quel suo amore per l’arte, coltivato sprezzando il denaro, e con un piacere spesso superiore a quello di stare in scena.

Quando, nel 1935, “la fatalissima ebrea, l’efebo ramato” (sono parole di Bragaglia che pure non le era stato sempre favorevole) si ritirò a vita privata, cedette all’Opéra di Parigi tutti i balletti, anche gli ultimi da lei commissionati, come Perséphone del 1934 con la coreografia dell’espressionista tedesco Kurt Jooss, Diane de Poitiers e Sémiramis di Fokin, oltre a Amphion di Léonide Massine e Paul Valery (1931). Indubbiamente Ida Rubinstein, che in vecchiaia andò a vivere a Vence, nel sud della Francia, e lì morì, nel 1960, lasciò più tracce di sé nella Parigi del primo Novecento che non in Italia, e a Milano. Ma qui fu un’apparizione significativa: annunciava l’arrivo di un nuovo genere di balletto, e con il Martyre de Saint Sébastien anche di una nuova opera totale. Nel 1929 fece  conoscere non solo il talento della Nijinska ma anche quello di ballerini che sarebbero diventati famosi, come Roman Jasinskij, David Lichine, Nina Verchina, Natalie Krassovska e il futuro direttore e primo coreografo del Royal Ballet, Frederick Ashton.

Nel 1999 un’insospettabile cultrice di questa protagonista della scena del secolo breve, Carla Fracci, ne fece rivivere le gesta al Teatro Studio di Milano, per conto della Scala, in Images d’Ida Rubisntein. Idolo, amazzone, principessa, mecenate, una pièce danzata e recitata per la regia di Beppe Menegatti.

 

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