Serge Lifar
In uno dei suoi tanti libri – ne scrisse venticinque solo tra il 1935 e il 1967 -, e segnatamente in Histoire du ballet russe, del 1950, il noto ballerino, coreografo e direttore di compagnia Serge Lifar – nato a Kiev il 2 aprile 1905 e scomparso a Losanna il 15 dicembre 1986 – si sofferma a
narrare vita, morte e miracoli di tante étoile italiane sbarcate in Russia nell’Ottocento, dimostrando ironia, malizia, e una partigianeria francese che non l’avrebbe mai abbandonato, neppure nei momenti più umilianti della sua carriera e del suo rapporto con l’amatissima Francia.
Quando giunse al Teatro alla Scala, nel 1951, portandovi il Balletto dell’Opéra di Parigi con cinque sue creazioni, Lifar, ultimo, aitante protegé di Sergej Djagilev – era al suo secondo mandato di direttore dell’istituzione. Il primo, iniziato nel 1929, si era bruscamente interrotto nell’immediato dopoguerra e con accuse molto gravi a lui rivolte. Fu infatti tacciato di collaborazionismo, soprattutto per aver permesso ai nazisti di trasformarsi in spettatori dell’Opéra di Parigi: in qualità di direttore e premier danseur, egli non ritenne infatti di dover serrare il teatro nazionale francese durante l’occupazione tedesca. L’errore, senz’altro dovuto anche al suo potente narcisismo, fu pagato con l’allontanamento dal teatro e dalla capitale francese, in cui però fu richiamato nel 1947 per tornare a ricoprire, e sino al 1958, il ruolo che gli era stato sottratto.
Tra sospetti e malignità mai davvero sopite, Lifar seppe mantenere nel suo rapporto con i ballerini dell’Opéra un equilibrio anche creativo, rivolto pure oltre confine. E infatti, nel 1948, eccolo alla Scala ad allestire con Nicholas Zverev (o Zvereff in locandina) Daphnis et Chloé nella classica versione di Fokin e nel 1950 La Péri, poco prima del suo ritorno alla testa dell’Opéra nella stagione successiva. In quest’occasione, il pubblico vide danzare molti scaligeri come Luciana Novaro, Giuliana Barabaschi, Carla Caspani, Rita Checolin, accanto a un unico ospite francese di origine russa, Vladimir Skouratoff. Non vide Lifar che, del resto, tra la fine degli anni Quaranta e i Cinquanta, si concesse alle scene scaligere solo nel ruolo protagonista di Icaro, un balletto a lui assai caro.
D’altra parte il meraviglioso ballerino che era entrato diciottenne nella troupe dei Ballets Russes aveva già avuto modo di farsi apprezzare dal pubblico milanese, allorché la celebre compagnia di Djagilev giunse al Teatro alla Scala nel 1927. In quell’occasione si esibì in tutte le coreografie del programma: in Cimarosiana di Léonide Massine, nell’Uccello di fuoco di Michail Fokin, nel Mariage d’Aurore da Marius Petipa. Soprattutto, poté farsi notare come straordinario partner di Olga Spessiva in una sintesi del Lago dei cigni. Nonostante la deludente accoglienza riservata al ritorno a Milano ai Ballets Russes, Lifar fu riconosciuto come grande ballerino. Eppure gli esordi di questa star, in seguito amatissima e venerata dai francesi come un secondo Vaslav Nijinskij, proprio per la magia che sapeva suscitare in scena, non lasciavano certo prevedere un simile esito. Turbolento e refrattario a ogni tipo di insegnamento che non fosse quello musicale, come lui stesso si descrive dell’autobiografia Du temps que j’avis faim, Lifar, sedicenne durante gli anni della Rivoluzione russa, aveva già indossato molte uniformi, tranne i costumi della danza. Un giorno, nel 1921, capitò per caso nello studio che Bronislava Nijinska aveva aperto a Kiev per accompagnare un amico e ne rimase rapito. Volle subito cominciare a danzare. Tuttavia, la sorella del famoso Vaslav Nijinskij, non accolse l’indigente Lifar nei suoi corsi speciali, ma lo indirizzò a un’istituzione statale dove poteva avere accesso gratuito alle lezioni. Il giovane si mise d’impegno, ma fu solo la fortuna a portarlo da Djagilev.
L’impresario aveva indirizzato una lettera alla Nijinska da Parigi nella quale le chiedeva i cinque migliori allievi del suo corso per completare le file della troupe dei Ballets Russes. Uno dei cinque selezionati dalla coreografa risultò introvabile, e così Lifar ottenne il privilegio di poterlo rimpiazzare. Raggiunse Parigi solo nel 1923, dopo un rocambolesco viaggio attraverso Varsavia e con mille incidenti di percorso. Il resto appartiene alla storia dei Ballets Russes da quell’anno e sino al suo scioglimento nel 1929, e include la meravigliosa interpretazione del Fauno nell’ Après-midi d’un faune di Nijinskij e tutti i principali ruoli maschili nelle coreografie di Balanchine (fu il primo Apollo, in Apollon musagète). Quanto alla sua attività all’Opéra di Parigi, se non si contano le riprese dei balletti classici da lui curati, e soprattutto di Giselle, in cui diede una svolta affascinante al ruolo di Albrecht, Lifar vi ha lasciato in repertorio oltre cinquanta balletti, di cui i più famosi come Icare, Le Chevalier et la Demoiselle, Suite en blanc, Phèdre, Les Mirages, furono proprio quelli che presentò alla Scala nel 1951. Ancora ripresi, ma soprattutto dal maggior teatro francese.
Personaggio controverso, ed eccessivamente portato ad autocelebrarsi anche nei suoi numerosi scritti teorici, sino al suo addio alle scene, avvenuto nel 1956, Lifar ha senza dubbio elevato il prestigio della danza maschile in anni in cui la ballerina era ancora l’epicentro del balletto classico. Molti i riconoscimenti e i premi che gli furono conferiti al termine della sua carriera di direttore di compagnia e coreografo, tra questi un omaggio alla carriera che lo portò da Losanna, dove si era trasferito, a Milano, l’anno prima della sua scomparsa.