Mavra
Il 30 maggio 1955, nell’ambito della serata stravinskiana (vanno in scena La Sagra della primavera e Scènes de ballet) , viene presentata per la prima volta al pubblico scaligero Mavra, opera buffa in un atto di Stravinskij, tratta dal poema La casetta a Kolomna di Puškin; il libretto è di Boris Kochno, la regia e la coreografia di Tat’jana Isačenko Gzovskaja (Tatiana Gsovski). Il direttore è Nino Sonzogno. Le scene e i costumi sono a firma di Grigorij Šiltjan. Il Siparietto d’apertura, disegnato con tratto preciso e misurato, è un collage di elementi che rimandano alle componenti essenziali dello spettacolo. Appare come una specie di trittico, composto da due scaffali tra i quali è appeso un quadro che apre la visione su un idilliaco paesaggio russo. Un ritratto di Puškin raffigurato su un foglio pende dallo scaffale di sinistra, dove sono sistemati diversi libri, una penna d’oca, una clessidra e una carta da gioco, un asso che richiama alla mente la Dama di picche, tutti oggetti propri all’attività creativa del poeta, mentre lo scaffale di destra riprende elementi della scenetta operistica: le maschere, i frutti succosi in bella vista, la teiera e la zuccheriera ripetute in miniatura nel bozzetto del salotto, la marionetta di Petruška; ad unire i due mondi un nastro di note, di spartiti e di strumenti musicali: due balalaiche, un mandolino, dei tamburelli e un flauto, che fanno pensare a materiali sonori diversi in cui si fondono motivi russi, tzigani, elementi ripresi dalla tradizione del melodramma russo da Glinka a Čajkovskij e dai modelli dell’opera buffa italiana, rivisitati in chiave ora ironica, ora comica, ora patetica. Nel bozzetto Un tranquillo sobborgo di San Pietroburgo, ideato per l’unica scena dell’opera, la città è ricomposta attraverso simboli efficaci: le rive della Neva, la guglia della Fortezza di Pietro e Paolo, gli edifici neoclassici gialli con le colonne bianche. A segnare simbolicamente il passaggio sulla riva opposta del fiume una citazione onirica del pietroburghese ponte Aničkov: sullo sfondo di un cielo rarefatto si erge un’imponente statua equestre che, per il suo biancore, richiama atmosfere sospese alla De Chirico. In Šiltjan non c’è traccia dell’esotismo, del gusto per il folclore o per le ambientazioni orientaleggianti, care agli scenografi dei Ballets russes; la sua Pietroburgo ricorda per la precisione e la delicatezza della gamma cromatica gli acquarelli e i dipinti dei pittori nordici.
In primo piano lo spaccato di una casetta-teatrino mostra un interno borghese ottocentesco con un romantico manichino; a segnare la marginalità territoriale del luogo una garitta con cannone e pietre miliari in miniatura e l’immancabile lampione che illumina le notti pietroburghesi. Il salotto dalle tinte vivaci e allegre è l’ambiente ideale per lo svolgersi di questa vicenda tutta incentrata sul colpo di scena finale. I figurini ricordano le illustrazioni dei libri di fiabe di altri tempi; i colori sono vividi. Per ogni personaggio sono accentuati i particolari che li caratterizzano: i fiocchi azzurri sull’abito rosa di Paraša, il pennacchio bianco sul colbacco nero per l’ussaro, il contrasto tra l’abito da cuoca con ricami tradizionali e i baffi dell’ussaro che spuntano da sotto il fazzoletto. La critica è quasi unanime nell’elogiare la riuscita musicale dell’opera, le ambientazioni sceniche brillanti e la coreografia originale. Fanno eccezione il critico dell’“Unità” e Pestalozza dell’“Avanti!”, irritati dallo stile calligrafico di Šil´tjan.
Mavra viene riproposta alla Piccola Scala l’8 febbraio 1960 nel corso di una serata dedicata anche a due altri brevi spettacoli: Le Sette canzoni di Gian Francesco Malipiero e La notte di un nevrastenico di Nino Rota. I bozzetti e figurini della nuova edizione di Mavra, giudicati da Montale “di una riuscita stilizzazione popolaresca” (Corriere della sera 9/10.2.1960) sono a firma di Theodore Stravinskij.
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