Bolero
Nel 1928 Ida Rubinštein, affascinante performer, più mimo che ballerina e, soprattutto, ambiziosa animatrice culturale, commissionò a Maurice Ravel la partitura per un nuovo balletto di cui sarebbe stata interprete con la sua compagnia. Dopo la spiacevole rottura con Sergej Djagilev, il fondatore dei Ballets Russes, il compositore francese non avrebbe più voluto occuparsi di musica per la danza, ma si arrese alle insistenze della danzatrice e, innamorato com’era della Spagna, decise di orchestrare Iberia, un pezzo per pianoforte del compositore spagnolo Isaac Albéniz.
Fortuna volle che non ottenesse dagli eredi il permesso di mettere mano allo spartito: così’ fu costretto a lavorare – con insolita rapidità – a una sua partitura e a consegnare i diciassette minuti del Bolero alla storia. La musica ottenne infatti un successo ben superiore alle aspettative dello stesso Ravel e fu da allora eseguita in tutto il mondo anche in forma di concerto.
Quanto al balletto per la Rubinštein, debuttò all’Opéra di Parigi il 22 novembre 1928 con la coreografia di Bronislava Nižinskaja le scene e i costumi di Aleksandr Benois, e suscitò vivi consensi, tanto che la stessa Nižinskaja si trovò a interpretare personalmente il ruolo principale, allorché riprese il balletto nel 1932, sempre a Parigi, ma con la sua compagnia e con lo stesso partner della Rubinštein, Anatole Vilzak (Anatolij Vil’tzak). In quell’occasione, la realizzazione di scene e costumi fu affidata alla pittrice Natal’ja Gončarova. Successivi allestimenti furono creati da Serge Lifar, Pilar Lopez e Argentinita, Anton Dolin e Dore Hoyer, ma nessuna versione ebbe più successo, in Italia, di quella ideata da Aurelio Milloss, nel 1944, al Teatro dell’Opera di Roma e ripresa, al Teatro alla Scala, nel 1954. Ancora più fortunato, e su scala mondiale, fu il Bolero di Maurice Béjart (1960), ispirato all’Oriente, che però disattese il desiderio di Ravel, che avrebbe voluto per il suo balletto lo sfondo di uno stabilimento industriale.
Il primo Bolero a giungere al Teatro alla Scala, nel febbraio del 1929, fu comunque quello della Nižinskaja, “ospite” per la seconda volta della Scala, con i Ballets della Rubinštein. Già figura tra le più significative della belle époque, l’enigmatica Ida si era assicurata il ruolo centrale della produzione, in cui scene e costumi recavano ancora la firma di Aleksandr Benois. In una sorta di rituale, Ida – nel ruolo della Danzatrice – ostentava la sua bellezza e seduttività su di un tavolo rotondo, circondato di fiamme; non si trattava, come poi sarebbe successo nella bel nota versione di Béjart, di una misteriosa divinità arcaica, ma proprio di una donna maliarda al quale un gruppo di danzatori-uomini si avvicinava sempre più con il crescere della musica. Se a Parigi il balletto fu giudicato innovativo e provocatorio, a Milano Bolero fu forse l’unico exploit che fu reputato degno di considerazione, almeno da parte del pubblico. “I balletti russi di Ida Rubinstein” scrisse invece perentoriamente sull’ “Illustrazione italiana” del 1929, Carlo Gatti , un testimone oculare, “non sono piaciuti. Troppo povere di contenuti le azioni coreografiche, e troppo fastidio diedero tante belle musiche di grandi compositori sviate, sciupate…”. Illustre studioso di Verdi, Gatti non amava il balletto; lo negava nello stesso momento in cui si sedeva in poltrona. Un atteggiamento non isolato, ma smentito dagli applausi riservati al Bolero della Nižinskaja.