Pareri di lettura
«Riassumere la trama, valutare il pregio artistico e l’opportunità commerciale, esaminare i rischi politici e morali, suggerire tagli erano i normali scopi del primo intervento. Il foglio (o i fogli, di solito dattiloscritti) […] a volte si caricava di altre annotazioni: battute di dialogo, commenti ai margini, brevi comandi […].» (Pietro Albonetti, Non c’è tutto nei romanzi, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori 1994, p. 12)
L’archivio storico Mondadori, grazie ai documenti del fondo «Pareri di Lettura», ci dà uno spaccato dell’articolata realizzazione delle scelte editoriali, dalla proposta di un manoscritto alla sua pubblicazione.
I pareri di lettura sono stilati da lettori esperti e riportano giudizi che spaziano dal valore culturale e linguistico, alla coerenza con il progetto editoriale, fino alle considerazioni di marketing. A questo primo giudizio fanno seguito, spesso con annotazioni successive sulla stessa pagina, i commenti dei curatori delle collane e le note dell’editore (quelle di Arnoldo Mondadori sono riconoscibili per il tratto a matita blu). I fattori che possono influire sulle scelte editoriali sono dunque molteplici, e non sempre tengono conto del giudizio dei lettori.
La prassi vale – come è ovvio – anche per le opere degli autori russi proposti nel corso del tempo alla casa editrice Mondadori. I pareri di lettura relativi sono raccolti dal 1926 al 1989 nella sezione «Segreteria editoriale estero», dove, a partire dagli anni Venti e Trenta, si possono consultare le opinioni di alcuni tra i lettori più noti di opere russe, tra cui Corrado Alvaro e i traduttori Erme Cadei e Rinaldo Küfferle.
Ne proponiamo qui alcuni casi emblematici, riguardanti le sorti editoriali di Andrej Belyj, Boris Pil’njak , Michail Bulgakov e Vladimir Nabokov.
Dei grandi autori del Novecento russo, Andrej Belyj è quello che conosce meno fortuna presso la Mondadori: nel 1961, il romanzo Kotik Letaev viene scartato una prima volta, insieme ad alcune opere di Pil’njak, perché Elio Vittorini, all’epoca responsabile della collana «Nuovi scrittori stranieri», considera i due autori «troppo scontati». Sette anni più tardi Giovanni Giudici dà un parere positivo sulla traduzione del poema Cristo è risorto: purtroppo, secondo Marco Forti, figura di primo piano di Mondadori e all’epoca responsabile per la poesia, il volume non è adatto a nessuna delle collane di poesia mondadoriane. Si decide pertanto di lasciare che l’opera venga pubblicata da Einaudi, che negli stessi mesi sta pensando a un volume di opere dello scrittore: nel 1969 Cristo è risorto, tradotto e curato da Cesare G. De Michelis, uscirà con Ceschina; a Einaudi si deve comunque la pubblicazione di Pietroburgo, tradotto e curato da Angelo Maria Ripellino nel 1961.
Nel 1968 Kotik Letaev viene riproposto da De Michelis, che lo definisce «il romanzo più originale di Belyj». La difficoltà sta nel trovare un traduttore capace di rendere adeguatamente il testo, permeato dalla dottrina antroposofica. Si pensa a Tommaso Landolfi, ma il timore di una difficile comprensione del lettore italiano fa desistere definitivamente l’editore. Kotik Letaev verrà pubblicato da Franco Maria Ricci nel 1973 nella traduzione di Serena Vitale.
Destino singolare anche quello di Boris Pil’njak: nel dicembre del 1964 Elio Vittorini, decide di scartare quello che è unanimemente riconosciuto come il suo romanzo più rappresentativo, L’anno nudo, perché «sarebbe una riesumazione»; giudica l’opera troppo sperimentale e legata al periodo rivoluzionario per essere apprezzata dal pubblico italiano. Il 21 gennaio dell’anno successivo, Vittorini e Vittorio Sereni, direttore editoriale di Mondadori, si dicono invece favorevoli alla pubblicazione, nella collana «Il Bosco», di Il Volga si getta nel Mar Caspio, il romanzo che Pil’njak aveva pubblicato nel 1930, un testo sicuramente meno complesso dell’ Anno Nudo, interpretato da alcuni come un segno di allineamento alle regole della “buona narrativa” sovietica. Il libro era già stato pubblicato nel 1944 dall’editore romano Jandi Sapi; questi lo cede nella traduzione italiana esistente, che Mondadori chiede il permesso di rivedere e attualizzare.
Sulle vicende editoriali di uno dei più grandi narratori del secolo, Michail Bulgakov, non esiste molto materiale nei pareri di lettura della Segreteria editoriale estero: nel novembre 1967 Oreste Del Buono scrive, a proposito di Vita del signor di Moliére, che si tratta di un «bel libro da fuoricollana», ed effettivamente di lì a poco verrà pubblicato. E Il Maestro e Margherita? In un parere è presentato come «un libro incredibile, divertente e straziante», ma non esistono altri documenti sulla possibilità di acquisirlo da parte di Mondadori: nello stesso anno, 1967, lo pubblicarono in contemporanea la De Donato e Einaudi.
Il caso sicuramente più singolare ad emergere dalla consultazione dei pareri di lettura riguarda Vladimir Nabokov e ci fornisce uno spaccato dell’atteggiamento di Mondadori e dei suoi consiglieri nei confronti di uno scrittore sostanzialmente poco apprezzato, ma le cui fama e grandezza suggeriscono di pubblicare per considerazioni di mercato.
Le carte contenute negli archivi storici Alberto Mondadori e Saggiatore raccontano una vicenda che inizia nel gennaio 1960, in seguito a una lettura che Bruno Maffi conduce sull’edizione tedesca di Re, donna, fante, arrivato in casa editrice su iniziativa diretta dell’autore:
Credo che ormai l’esperienza sia fatta: pollice verso per Nabokov prima di “Sebastian Knight”!(B. Maffi, 13 gennaio 1960, in Archivio storico, Iil Saggiatore, sezione carteggio, fascicolo Nabokov)
A questa stroncatura senza appello fa seguito un appunto di Vittorini: Altro brutto romanzo di Nabokov. […] Fino al 41 circa Nabokov non ha scritto che cose brutte. (E. Vittorini, 29 gennaio 1960, in Archivio storico il Saggiatore, sezione carteggio, fascicolo Nabokov) che lascia ben pochi dubbi sull’opinione che in Mondadori si ha di gran parte dell’opera dello scrittore russo.
Si tenga conto però che Mondadori nel maggio del 1959 aveva pubblicato nella «Medusa» il più grande successo dello scrittore, Lolita, nella traduzione di Bruno Oddera. Nel giro di soli due mesi il libro aveva venduto in Italia 45.000 copie. Ciò che è paradossale è che, negli stessi anni, Mondadori faccia di un libro come Lolita un bestseller e, nelle lettere editoriali e nei pareri di lettura, bocci senza appello quasi tutta la rimanente produzione nabokoviana. Ma questo è, di fatto, ciò che avviene: nel maggio del 1960, ossia ad appena un anno dall’uscita del romanzo più famoso di Nabokov, Vittorini liquida Bend Sinister definendolo
«Un altro dei numerosi libri fasulli di Nabokov. […] Per me sarebbe da scartare» (E. Vittorini, 6 maggio 1960, in Archivio storico Saggiatore, sez. carteggio, fascicolo Nabokov).
Tuttavia, Mondadori continuerà a rimanere l’editore di Nabokov fino alla fine degli anni settanta, pubblicandone gran parte dell’opera: Invito a una decapitazione (1961), Risata nel buio e l’autobiografia Parla ricordo (1962), Fuoco pallido (1965), Il dono (1966), L’occhio, I bastardi e Pnin (1967), La difesa (1968), Ada (1969).
Ma nell’Italia degli anni Sessanta Nabokov non va. E’ quanto lamenta Oreste Del Buono in un parere del 1968 che segue la proposta di Vera Nabokova di pubblicare Re, donna, fante:
Nabokov è il solito problema, forse da affrontare e risolvere drasticamente. Lolita è stato un gran successo, d’accordo. Ma un gran successo di allora, ora continua magari ad andare per l’inerzia dei titoli famosi. […] Gli altri libri di Nabokov, comunque, non vanno, le statistiche sono malinconiche ed esasperanti. […] non me la sento di consigliare l’acquisto di King, Queen, Knave. (…) con il nostro pubblico, scandalo a parte, Nabokov non si trova proprio. (O. Del Buono, 28 agosto 1968, in Archivio storico AME, Segreteria editoriale estero, sez. GdL, fascicolo Nabokov.)
Quattro anni prima era stato Alberto Mondadori in persona a declinare gentilmente la proposta di Vera Nabokova di pubblicare la versione nabokoviana dell’Evgenij Onegin di Puškin.
In quegli stessi anni Sessanta, che avevano segnato lo scarso successo dell’autore russo-americano, si registra, anche in seguito al disgelo chruščëviano, un’impennata dell’interesse del mondo editoriale italiano nei confronti degli scrittori russo-sovietici. Nei pareri di lettura cominciano a trovare posto molte figure di intellettuali le cui opere erano inaccessibili durante lo stalinismo. Il grande interesse nei confronti degli scrittori vittime dello stalinismo riporta in auge molti autori – anche grandissimi – a lungo negletti, come per esempio Osip Mandel’štam:
«È un caso tristemente finito in politica di un vero scrittore (…). Perciò sarebbe cosa abbastanza tempestiva rilanciarlo in questi tempi, così sensibilizzati agli errori dello stalinismo, ma anche così corrivi alle imposture e ai vittimismi letterari (…). Penso che Mandel’štam meriti un posto nello Specchio» (Maria Teresa Giannelli, Direzione letteraria Arnoldo Mondadori editore, a Vittorio Sereni, 22 maggio 1967)
Mondadori vorrebbe proporre un’antologia di scritti curata da Anton Maria Raffo, slavista e docente presso l’Università di Firenze. Il 1967 è l’anno in cui il progetto comincia a prendere forma: Raffo si incarica della scelta e della traduzione di circa 150 poesie e vorrebbe affidare ad alcuni collaboratori la traduzione della Conversazione su Dante e di alcune prose significative degli anni Venti. Il tutto dovrebbe confluire in un volume della prestigiosa collana dello Specchio, dedicata ai grandi poeti.
Nonostante la casa editrice De Donato abbia acquisito i diritti sulle opere del poeta dal suo editore americano, la Mondadori non si scoraggia: nel febbraio del 1969, un carteggio tra Sereni e Raffo rivela che l’idea di un volume dello Specchio su Mandel’štam è ancora viva e anzi Sereni invita Raffo ad accelerare i tempi. Si tratterà di una raccolta di sole poesie, perché nel frattempo De Donato ha pubblicato la Conversazione e altre prose. Cinque anni più tardi però il progetto sfuma, perché intanto Garzanti ha presentato un’antologia di versi del poeta e anche Einaudi si prepara a dare alle stampe un volume.
Negli stessi anni, Mondadori si interessa al lavoro di Natal’ja Gorbanevskaja, una poetessa dissidente che ha protestato sulla Piazza Rossa contro l’invasione della Cecoslovacchia. Ne ha scritto un Libro bianco, che Mondadori manderebbe in stampa come testimonianza della lotta per la libertà in Unione Sovietica. Il 15 gennaio 1970 Fausto Malcovati consegna un parere di lettura molto positivo, in cui segnala che la poetessa è stata appena arrestata con l’accusa di vilipendio allo Stato sovietico. Il 28 gennaio anche Cesare G. De Michelis dà parere positivo alla pubblicazione. Tuttavia, dopo numerosi ripensamenti, Mondadori rinuncia: il Libro bianco appare troppo legato ai fatti del ’68 e rischia di non essere più attuale.