Cimarosiana
Nel 1927, quando i Ballets Russes giunsero a Milano per la seconda volta, si scontrarono contro un muro di freddezza e d’incomprensione nei confronti dell’esperienza rinnovatrice che portava nome e impeto russi. Tuttavia Gaetano Cesari, il più sensibile critico musicale dell’epoca, rivolse particolari attenzioni all’aspetto essenzialmente musicale del fenomeno. All’indomani del debutto alla Scala scrisse sul “Corriere della Sera” dell’11 gennaio 1927: “Senza punto disconoscere quei casi speciali più felici in cui la musica venne appositamente concepita per alcuni di questi balletti, senza nulla sottrarre all’ingegno di cui danno prova Diaghilev e i suoi coreografi quando creano quadri scenici appositamente per musiche scelte con criterio di opportunità e di convenienza, è certo che il modo col quale un giorno Schumann o Chopin, oggi Cimarosa, domani forse Rossini, sono condotti a slavizzarsi e ad assumere degli uffici lontani dallo spirito dell’arte loro, indica almeno che il balletto russo ha ancora bisogno di concorsi meno forzati, di stilizzazioni meno volute e cercate allorché voglia elevarsi a quella forma di non composita creazione a cui l’hanno innalzato i compositori che si sono ad esso dedicati”.
L’arzigogolato discorso riguardava in particolar modo Cimarosiana, il divertissement finale dall’opera Le Astuzie femminili di Domenico Cimarosa che Djagilev aveva fatto allestire all’Opéra di Parigi nel 1920 e che dal debutto a Monte Carlo, l’8 gennaio 1924, veniva proposto a sé, sempre nella versione coreografica di Léonide Massine. Basato su musiche scritte dal compositore napoletano per Caterina II, il divertissement somigliava a una diplomatica forma di incontro tra arte italiana e russa, voluta da Djagilev proprio pensando a un debutto al Teatro alla Scala. Il balletto, che pure annoverava nelle file femminili grandi stelle quali Tatiana Chamié, Aleksandra Danilova, Lidija Sokolova, Ljubov’ Černiševa e, in quelle maschili, George Balanchine, Nicholaj Efimov, Stanislav Idzikowskij, Serge Lifar, Léonide Massine, Léon Woizikovskij, non ottenne però il successo sperato. Ernst Ansermet sul podio ( sostituito poi da Roger Desormière), le scene di Léon Bakst e i costumi di José Maria Sert completarono un balletto che si componeva di passi a tre, a sei, con una tarantella e altre danze tenute insieme da una evanescente trama, che non sarebbe però mai più apparso a Milano.