Filipp Maliavine
(Filipp Andreevič Maljavin, Philippe Maliavine, Filipp Maliavin)
Nel 1901, alla IV Biennale veneziana fece la sua apparizione Il riso (Smech, 1899) di Filipp Maliavine, ex-pittore di icone formatosi nell’ambiente dei monaci del Monte Athos: dalla tela, già premiata all’Esposizione Universale di Parigi del 1900, cinque robuste contadine russe dalle vesti sgargianti ridono di un riso impertinente e contagioso, che sembrava farsi beffe delle rigide tradizioni accademiche. Folgorato dalle audaci virtuosità cromatiche di questo “Paganini della tavolozza”, Vittorio Pica suggerì l’acquisto de Il riso alla Galleria d’Arte Moderna Ca’ Pesaro di Venezia, dov’è tuttora conservato.
Presente a Milano nel 1923 e nel 1925 alle Esposizioni Internazionali dell’Acquerello presso la Società Permanente, l’arte di Maliavine tornò nel capoluogo lombardo nel febbraio del 1929 per la sua prima personale in Italia, presso la Galleria Bardi:
L’esposizione di Maliavine ha avuto un grande successo, superando anche la diffidenza che per l’arte straniera ha, di solito, il nostro mercato. Franca fino ad essere cruda, la pittura impetuosa di questo istintivo russo pareva sboccar nella vetrina di Bardi come un grido eccitato. E nessuno ha saputo ritrarsi al suo accento di gioconda aggressione (R. Giolli, Cronache milanesi. Esposizioni ed aste, in “Emporium”, LXIX, , 412, Aprile 1929, pp. 246, 249)
Che nelle quotazioni di Maliavine dovesse giocare un peso determinante ancora il ricordo de Il riso, lo dicono le molte recensioni che seguirono questa personale e quella che, a distanza di un anno e mezzo, nel novembre del 1931, venne ordinata da Casa d’Artisti. Ma se nessuno sembrò potersi esimere dal richiamare i fatti veneziani di quasi trent’anni prima, il senso di questo richiamo venne ora ad assumere una doppia valenza. Mentre alcuni mostrarono di subire ancora il fascino “iper-russo” della “diabolica sinfonia, ardita e ininterrotta, di focosi rossi e di smaglianti verdi, di intensi azzurri e di fondi bruni” (D. Bonardi, Artisti che espongono. Maliavine, l’iper-russo, in “Il Secolo – La Sera”, 3 dicembre 1931, p. 3) dei quadri di Maliavine, altri, come Carlo Carrà, espressero insofferenza verso un’arte ormai superata e incapace di rinnovarsi (C. Carrà, Mostre milanesi. Filippo Maliavine, in “L’Ambrosiano”, 14 febbraio 1929, p. 3) – segno, questo, del definitivo tramonto di quel folklorismo di tendenza orientaleggiante che aveva affascinato gli italiani nel corso degli anni Venti.
Scheda biografica
Nasce nel 1869 in una cittadina del governatorato di Samara. Affascinato dalle icone e spinto dal desiderio di apprenderne le tecniche artistiche, all’età di 14 anni lascia la famiglia per recarsi nel monastero ortodosso di San Panteleimon, sul monte Athos. Qui i monaci gli insegnano le arti del mestiere e gli commissionano alcuni affreschi delle mura del monastero. I lavori del giovane Maliavin attraggono l’attenzione dello scultore B. A. Beklemišev, in visita al monastero ortodosso, che lo spinge a tornare in Russia e, nel 1892, a iscriversi all’Accademia di Belle Arti a Pietroburgo. Sotto la guida del suo maestro, I. E. Repin, Maliavin si distingue presto per le sue originali doti artistiche, di cui è una significativa sintesi il quadro “Il riso” (Smech) del 1899: presentato all’esame finale dell’Accademia, il quadro suscita all’interno della giuria forti polemiche, placate solo dalla minaccia di Repin di abbandonare l’Accademia. Il clamoroso successo riscosso da “Il riso” prima a Parigi nel 1900 e poi a Venezia nel 1901 accresce la fama di Maliavin, che inizia a partecipare a mostre collettive e personali in tutta Europa. Durante uno dei suoi viaggi all’estero, nel 1922, Maliavin comprende di non poter più far ritorno in Russia. Si stabilisce dunque in Francia, a Nizza. Nel 1940 si trova a Bruxelles, dove viene arrestato dai nazisti con l’accusa di spionaggio, e subito rilasciato. Torna a piedi a Nizza, dove muore il 23 dicembre 1940.
http://www.russinitalia.it/dettaglio.php?id=815