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Il bacio della fata

Approdato al Teatro alla Scala il 12 marzo 1929,  Le baiser de la Fée, titolo originale di Il bacio della fata aveva debuttato appena un anno prima all’Opéra di Parigi, sempre con i Ballets d’Ida Rubinstein e la coreografia di Bronislava Nijinska. Con scene e costumi di Aleksandr Benois, su libretto da Hans Christian Andersen e musica di Igor Stravinskij, diretta da Ernest Ansermet, la coreografa aveva tradotto in danza la severa fiaba del giovane che, salvato dalla morte, ancora in fasce, dal bacio della Fata dei Ghiacci, viene da questa attirato nel suo mondo di nevi perenni, vent’anni dopo, alla vigilia delle nozze.

La Nijinska aveva seguito con scrupolo le indicazioni del musicista. Stravinskij scrive, infatti, in Chroniques de ma vie :“Ida Rubinstein mi propose di comporre un balletto per i suoi spettacoli (del 1928). Lo scenografo Aleksandr Benois, che lavorava con la compagnia, mi propose due soggetti. Uno di essi aveva tutte le probabilità di piacermi: si trattava di creare un’opera ispirata alla musica di Čajkovskij. Il mio amore per questo compositore e, per di più, il fatto che gli spettacoli progettati per il mese di novembre dovessero coincidere con il trentacinquesimo anniversario della sua morte, mi convinsero ad accettare la proposta. Pensai allora a un grande poeta dall’anima tenera e sensibile e la cui natura inquieta e fantastica era meravigliosamente affine a quella del musicista. Pensavo a Hans Christian Andersen… Sfogliando l’opera di Andersen che conoscevo abbastanza bene, m’imbattei in un racconto che avevo del tutto dimenticato e che mi parve assai adatto all’idea che volevo realizzare. Si trattava della bellissima Vergine dei ghiacciai.”

Stravinskij ne trasse così il libretto di Le baiser de la Fée, per il quale compose una musica che assorbiva nel suo neoclassicismo non solo il carattere espressivo di Čajkovskij, ma anche vari suoi temi. La Nijinska creò una coreografia anch’essa neoclassica, ligia alla tradizione tardo-ottocentesca ma con varianti interne, figlie del rinnovamento della danse d’école proposto dai Ballets Russes di Djagilev.

La compagnia della Rubinstein rappresentò più volte il balletto con la stessa Ida nelle vesti della Fata dei Ghiacci e la pièce, che a Milano vantò le presenze di Anatoli Wiltzak (Il giovane) e di Frederick Ashton, – il futuro grande coreografo e direttore del Royal Ballet di Londra –  tra i Contadini, accumulò anche svariate versioni coreografiche per la delicatezza poetica dell’idea e la qualità della musica, Tra queste la più importante è quella adamantina, creata da George Balanchine alla Metropolitan Opera House di New York, nel 1937,  poi ripresa per il suo New York City Ballet nel 1950.

Proprio questa versione, in cui rifulge l’aderenza stravinskiana a un ideale di “balletto classico”, comparve al Teatro alla Scala nel 1953 con le scene di Horace Armistead e Luigi Brilli e i costumi di Barbara Karinska. Accanto alla moglie dello stesso Balanchine, Tanaquil Le Clerq (La fidanzata), ballarono Luciana Novaro (La fata), Vera Colombo ( La madre), Giulio Perugini (il fidanzato) e tra le Damigelle, Giuliana Barabaschi. Sul podio il direttore d’orchestra, Nino Verchi, riuscì ad esprimere quanto di Čajkovskij sopravviveva in Stravinskij, mentre il balletto si rivelò anche al pubblico come vero omaggio di Balanchine ai suoi compositori prediletti, attraverso gli stilemi del ballet blanc.