Home » Spettacolo » Danza » Le mariage d’Aurore

Le mariage d’Aurore

Prima ancora che il balletto La bella addormentata nel bosco giungesse al Teatro alla Scala nella coreografia di Marius Petipa rielaborata dal tartaro Rudolf Nureyev – e siamo nel 1966 – non poche furono le occasioni per avvicinare il grande classico del repertorio tardo romantico russo, anche se in forma alterata o ridotta.

Nel 1896, Carlotta Brianza, protagonista del capolavoro di Petipa-Čajkovskij che aveva debuttato a San Pietroburgo nel 1890, riportò alla Scala il suo personaggio di Aurora in un’applauditissima coreografia di Giorgio Saracco dal goffo titolo La bella del bosco dormiente. Un resoconto di un cronista anonimo sul “Corriere della Sera” del 12 marzo 1896 spiega tra l’altro che: “Fu molto gustata anche la musica di Tschaykovsky”.

Invece, nel gennaio 1927, i Ballets Russes di Sergej Djagilev presentarono durante la loro seconda (e ultima) permanenza milanese, Le Mariage d’Aurore, una compilation di danze dagli atti di corte tratte dall’originale del 1890. Djagilev lo aveva resuscitato per intero il 2 novembre 1921, all’Alhambra Theatre di Londra, titolandolo, per il pubblico inglese The Sleeping Princess, anziché The Sleeping Beauty.

Con le scene e i costumi di Léon Bakst, la ricca produzione vantava nel suo cast ancora Carlotta Brianza, ma nel ruolo di Carabosse. Già ridotto a Le Mariage d’Aurore per la stagione parigina all’Opéra del maggio 1922, il titolo recava anche un’aggiunta coreografica di Bronislava Nijinska e, nel programma di sala, una nota più che esplicativa delle ragioni di un allestimento ancora zarista: “Balletto classico di Marius Petipa, coreografo francese (1822-1910), presentato in occasione del centenario della sua nascita”.  Rimarcando la nazionalità del creatore della classicità russa sulle punte, il patron dei Ballets Russes si voleva, in realtà, accodare alla moda in voga all’epoca: il recupero dell’arte francese del XVIII e XIX secolo.

Giunto alla Scala, Djagilev credette che saldi titoli del repertorio, proprio come Le Mariage d’Aurore, potessero incontrare il favore del pubblico, ma non riuscì a sfondare nella vecchia capitale del ballo teatrale, nonostante la presenza dei suoi interpreti migliori come Olga Spessiva, Tatiana Chamié, Alexandra Danilova, Lydia Sokolova,  Lubov Tchernicheva e ancora George Balanchine, Nicholas Efimov, Stanislas Idzikowskij, Serge Lifar, Léonide Massine, Léon Woizikovskij. Ne fu notevolmente contrariato e lo dimostrò anche attraverso una rabbiosa reazione giornalistica affidata a un’intervista di Fokin. Da notare che nel Mariage d’Aurore scaligero era scomparso il riferimento coreografico alla Nijinska, mentre i costumi erano attribuiti sia a Bakst sia a Aleksandr Benois, e la direzione d’orchestra a Ernst Ansermet e Roger Desormière.

A distanza di tempo, nel 1940, un altro digest della Bella addormentata nel bosco comparve alla Scala “nell’adattamento di Nives Poli dall’originale di Marius Petipa” e con ben altra, calorosa, accoglienza.

Dieci anni dopo, Margherita Wallmann presentò una successiva riduzione del balletto, ricorrendo, secondo la locandina “alle danze originali di Petipa, riprodotte con l’assistenza di Beatrice Appleyand”, per quanto riguardava Čajkovskij. Entro quel cameo russo-scaligero, avvenne, il 24 aprile 1950, il debutto scaligero della star inglese più amata del momento, Margot Fonteyn. Quanto alla coreografia, la sorpresa maggiore, per questo titolo, fu il ritorno di uno degli interpreti russi del 1927: il ballerino e coreografo Serge Lifar, l’ultimo protegé di Djagilev. Ormai alla testa del Balletto dell’Opéra di Parigi, Lifar portò alla Scala, ma solo nel giugno 1950, due trittici e all’inizio del secondo infilò diversi frammenti della coreografia di Marius Petipa, da lui stesso confezionati con il titolo Divertissement. Questa compilation aveva già due anni di vita quando giunse alla Scala e, inoltre, una bella agilità (senza attribuzione delle scene in locandina), costumi firmati da Dimitri Bouchène e, tra tante stelle francesi, una protagonista, Nina Vyroubova (Aurora), nata in Crimea.
Quattro anni dopo, nel 1954, sarebbe stato un altro importante complesso, il Sadler’s Wells Ballet di Londra, non ancora insignito della denominazione di Royal Ballet, a offrire al pubblico milanese una limpida versione classica della Bella addormentata nel bosco, una produzione del russo Nicholas Sergeev da Marius Petipa, con aggiunte dei direttori della compagnia, Ninette De Valois e Frederick Ashton. Di particolare importanza, proprio perché allestita da un coreografo transfuga della Rivoluzione d’Ottobre, alla quale aveva sottratto molte notazioni coreografiche dei balletti di Petipa, quella Bella inglese offriva assieme al rispetto filologico la declinazione anglosassone dello stesso: una coreografia russo-inglese di riferimento per ogni successiva ricostruzione di quell’ineliminabile tessera della tradizione coreutica classica.
Nel 1956 l’antico Le Mariage d’Aurore diventava per il Corpo di Ballo della Scala e la ballerina inglese ospite, Alicia Markova (la protagonista), Le Nozze d’Aurora, non a caso sotto l’egida di due coreologi, Sergej (o Serge) Grigoriev e Lubov (nella locandina Liuba) Tchernicheva, anch’essi già presenti nel 1927 con i Ballets Russes: il primo in veste di direttore dell’allestimento scenico e la seconda, di interprete. La loro ripresa della compilation, da Marius Petipa, riprendeva i costumi del Divertissement di Lifar, a firma Bouchène, questa volta anche indicato come scenografo.
Infine, eccoci al 22 settembre 1966, alla Bella addormenta nel bosco, secondo balletto firmato dal divo Rudolf Nureyev, alla Scala. Con Carla Fracci nel ruolo di Aurora e lo stesso Nureyev in quello del Principe (Florimondo e non Desiré come in altre versioni), la ricca produzione per il Corpo di Ballo scaligero in un prologo e tre atti, era incorniciata e vestita dall’estro dello scenografo e costumista  Nicholas Georgiadis, e sarebbe durata sino ai nostri giorni con alcune varianti soprattutto nell’allestimento.  Nelle note illustrative del programma di sala di una ripresa del 1967, a cura di Vittoria Ottolenghi, si legge: “Partito dal chiaro proposito di ritornare alle origini sul piano estetico –  nell’intenzione di riportare il balletto piuttosto verso il regno della poesia che del ‘kolossal’ pur nell’evocazione del fasto del Marinskij – egli ha profondamente inciso sulla struttura coreografica delle due tradizioni, la sovietica e l’inglese; finendo col raggiungere la poesia, ma con mezzi e finalità nuove. La vicenda, anziché snodarsi in un clima di candore e di fantasia proprio dell’infanzia e dell’innocenza, diviene, una lirica favola per adulti.

La storia di una vita – della irreale Aurora – diviene piuttosto la storia interiore dell’attesa, della nascita e poi del divampare d’un amore”.  (Ma.Gu.)