Le quattro stagioni
Nel 1949 Léonide Massine creò per il Corpo di Ballo della Scala, al quale era ormai molto legato, il balletto Le quattro stagioni, titolo vivaldiano che sarebbe stato tante volte ripreso da altri coreografi.
Diviso in quattro quadri, ciascuno della durata di circa dieci minuti, il lavoro si avvaleva della ben nota partitura vivaldiana – nella trascrizione di Bernardino Molinari – e del Concerto in do, rielaborato da Alfredo Casella. La coreografia si atteneva allo schema descrittivo fissato da Vivaldi. In apertura, “l’inverno” era un ballet blanc di genere classico, con alcune figurazioni di carattere, scelte appositamente per quella stagione, completato, in chiusura, dal passo a due di due poveri sotto la pioggia. Il secondo quadro, “ la primavera”, proponeva il sogno di un pastore con l’amore ricambiato di una gentile ragazza, frutto però della sua mente. Al brusco risveglio fra i suoi simili, il protagonista provava una cocente delusione. “L’estate”, il terzo quadro, si configurava come un ballet de cour: il coreografo seguiva il testo con danze e variazioni sul tema del cucù, della tortora, del cardellino. “L’autunno”, il quarto e ultimo quadro, era anche il più complesso e denso di elementi fantastici, come il sogno degli ebbri. Da questa stagione ricca di canti e balli si passava a un baccanale conclusivo.
L’alternanza dei generi, dall’immaginario al classico, dal nobile al grottesco, piacque al pubblico e fu restituita a dovere dagli interpreti principali: Olga Amati (Inverno), Gilda Majocchi e Walter Venditti (Primavera),Vera Colombo (Estate), Ugo Dell’Ara (Autunno) e Luciana Novaro (Solisti del baccanale); i ricchi costumi, come del resto le scene, erano opera di Pierre Roy. Sul podio, Nino Sanzogno portò al trionfo il balletto, che però non fu più replicato.
Le quattro stagioni ricomparvero nel 1962, ma a firma del francese Roland Petit.
M. G.