Lo spettro della rosa
Come Passo d’addio delle allieve licenziande della Scuola di Ballo del Teatro alla Scala, fu scelto, nel marzo 1954, un balletto di Michel Fokin, mai comparso sul palcoscenico del Piermarini prima di allora: Le Sectre de la rose, celebre tableau chorégraphique di un tema di Théophile Gautier del 1837 (adattato da Jean- Louis Vaudoyer). Creato, nel 1911 su misura di Vaslav Nijinskij (lo Spettro) e Tamara Karsavina (La fanciulla), i due “assi” dei Ballets Russes di Sergej Djagilev che ottennero grande successo al Teatro dell’Opera di Monte Carlo dove debuttò con le scene e i costumi di Léon Bakst, il balletto trasportava all’inizio dell’avventura creativa dei Ballets Russes di Sergej Djagilev, destinata a sovvertire l’estetica del balletto del Novecento.
Non più prosaico o appesantito dalla pantomima, tutto danzato, inserito in una scenografia teatrale ricca di segni pittorici importanti, Le Spectre de la Rose rivisitava il Romanticismo con un gesto delicatamente floreale, quasi liberty, che non riguardava solo il particolarissimo costume a fiori in rilievo di Léon Bakst, indossato dal protagonista maschile, bensì le linee della coreografia.
Sull’ Invitation à la valse di Carl Maria von Weber agisce l’inconscio onirico di una fanciulla ancora dell’Ottocento….Ma ormai tutto era cambiato. “ Al levarsi del sipario, una giovane, rientrata da un ballo e vinta dalla stanchezza, si addormenta su di una poltrona. Nel suo sogno, la rosa che tiene tra le mani, diventa un genio che le prodiga carezze e sparisce all’alba”. Così descritto, nel programma ufficiale dei Ballets Russes, al Théâtre du Châtelet di Parigi (maggio-giugno 1912), Le Spectre de la rose ci appare già sulla carta per quello che è stato: una delle coreografie più ispirate che Fokin abbia creato. Una delle più semplici, apparentemente. Niente di inutile, di falsamente brillante. Il virtuosismo è messo al servizio del sentimento. Un solo movimento, un solo alito sembrano animare questa danza mai interrotta dal ben che minimo ammiccamento. In certi istanti lo Spettro diviene il partner, il cavaliere della bella dormiente: le braccia liberate da ogni etichetta classica, non sono più occupate a conformarsi alle posizioni corrette. Sono braccia che cantano, vivono, “parlano”: il loro linguaggio è uno dei più fluidi che sia mai stato danzato all’epoca.
Il ruolo maschile tecnicamente sostanzioso che, per il felino Nijinskij, dal salto prodigioso e dallo straordinario ballon, segnò l’inizio di una fama leggendaria, non è però l’unico meraviglia di questa rapinosa citazione romantica, così difficile da ricreare. Al risveglio la giovane è turbata, scorge la rosa a terra e la raccoglie con amore. Le Spectre de la rose vuole sintesi, stilizzata espressività, sensuali nuances, anche femminili. E le trovò anche alla Scala con Carla Fracci (La fanciulla) e Mario Pistoni (Lo Spettro) qui avvolti nelle scene e nei costumi di Aleksandr Benois. (Ma.Gu.)