Home » Spettacolo » Artisti » Danzatori » Nureyev, Rudolf

Rudolf Nureyev

(Rudol'f Nureev)

L’Italia e il Teatro alla Scala devono molto a Rudolf Nureyev; grazie a lui Milano, dove negli anni Sessanta imperava uno sfrenato divismo, soprattutto operistico, si riconciliò con l’arte della danza e trovò un ballerino da idolatrare per il  suo carisma scenico, il talento, l’ineguagliabile personalità. “Rudy”, come fu subito confidenzialmente soprannominato dalle folle di ammiratori che lo attendevano al termine di ogni esibizione, seppe far risorgere il mito – allora un po’ appannato – del danzatore-uomo, arrivando persino a mettere in ombra –  per quanto possibile –  stelle femminili e partner di indubbia grandezza come Margot Fonteyn, Carla Fracci e tante altre, sino a Sylvie Guillem, che egli stesso, nelle vesti di direttore artistico dell’Opéra National de Paris, avrebbe nominato étoile, a soli diciannove anni.
La prima apparizione del “Tartaro volante” (un soprannome che legava la provenienza esotica alla prodigiosa agilità e potenza dei suoi salti) alla Scala avvenne il 9 ottobre 1965; Nureyev ballava con il Royal Ballet di Londra, di cui era diventato “ospite” principale, in occasione di una settimana inglese a Milano. Ormai famoso in tutto il mondo, in Italia si era già esibito nel 1962 a Nervi e nel 1964 a Spoleto. Tuttavia le cronache giornalistiche che annunciavano alla Scala il Romeo e Giulietta inglese puntarono tutte sul ritorno dell’amatissima Margot Fonteyn,  celeberrima partner del giovane russo. Le recensioni, inclusa quella di Eugenio Montale sul “Corriere della Sera”, applaudirono tuttavia al “prodigio”: che era Nureyev, ovviamente, cui la Fonteyn con un tenerissimo inchino aveva offerto il suo sacrificio di star.
Quando girava per Milano vestito alla moda dei Beatles, alto e aitante, con il volto dagli zigomi alti, il ventisettenne Nureyev del 1965 incarnò subito anche il mito del transfuga (la sua defezione dal Balletto del Kirov di San Pietroburgo risaliva a soli quattro anni prima), del ribelle, dell’anticonformista, e divenne ospite ambitissimo dei migliori salotti della città. I loro proprietari non mancarono, il 13 ottobre 1965, alla seconda apparizione scaligera della coppia Nureyev-Fonteyn, La bayadère, o meglio nel solo terzo atto, intitolato Il Regno delle Ombre, del gran balletto di Marius Petipa e Ludwig Minkus, riletto dallo stesso Nureyev in veste di coreologo. La cronaca della serata riferisce un nuovo, immenso trionfo: Milano, sedotta dal suo astro sfolgorante, gli chiese di tornare al più presto. Ed ecco che nel 1966 la coppia regina si esibisce nel passo a due di Il Corsaro e, per la prima volta inserita nel contesto del Corpo di ballo scaligero, in Marguerite et Armand: un balletto espressamente pensato per Margot e Rudolf da Frederick Ashton, il direttore del Royal Ballet, e ispirato alla nota vicenda che da Dumas passò nella Traviata di Verdi.
Il successo fu tale che il massimo teatro lirico italiano si pose il problema di avere, anzi forse di dover gestire, accanto a tenori e soprani, un nuovo astro più che prediletto, reclamato, dal pubblico. Che fare?

Conoscendo la sua passione non solo per la danza ma anche per la ripresa dei capolavori cajkovskiani del grande repertorio coreutico che aveva accuratamente studiato in Unione Sovietica, il Teatro richiamò Nureyev con la sua nuova versione della Bella addormentata (la prima: 22 settembre 1966) che egli considerava il “il balletto dei balletti”, “l’apogeo del balletto classico” e “il trampolino di lancio per ogni ballerino-virtuoso che si rispetti” e che egli stesso danzò nel ruolo maschile principale accanto a Carla Fracci, poi a Liliana Cosi e a Vera Colombo.
Nel 1969 la Scala acquisì il suo onirico e freudiano Schiaccianoci, portato al trionfo con Liliana Cosi (poi Vera Colombo) e soprattutto a un infinito numero di repliche protrattesi sino ai nostri giorni. Ormai il Corpo di ballo scaligero si sentiva vicino al “divo”, ne comprendeva il linguaggio, ne stimava il rigore, la maniacale esigenza di precisione e non faceva mistero di volerlo come proprio direttore artistico. D’altra parte, Nureyev era quasi in ogni stagione nei cartelloni scaligeri in veste di ballerino, danzava tutti i classici in coppia con la Fracci e ancora con la Fonteyn. Fra tutti teatri, la Scala era il suo porto sicuro, il luogo dove non c’erano oppositori, come invece accadeva a Vienna o a Parigi. E l’Italia, a partire dagli anni Settanta, fu certamente la sua seconda patria: non amava solo Milano, ma anche Roma, Firenze, Venezia anche perché, a poco a poco, era cresciuta la sua predilezione per l’arte, fino a farne un grande collezionista.
Il 20 dicembre 1980 segna il suo ritorno scaligero in veste di coreografo con un nervoso Romeo e Giulietta dalle magnifiche e cupe scene di Ezio Frigerio; guidato dal formidabile terzetto Fracci – Nureyev – Fonteyn (nelle vesti di Lady Capuleti) lo spettacolo meritò il passaggio dal Palazzo dello Sport, location scelta per le riprese televisive, al Metropolitan di New York: fu la prima trasferta del Corpo di Ballo scaligero dopo venticinque anni di stanzialità.
Se il titolo shakespeariano non ebbe molto fortuna e non riemerse più dal repertorio, si può dire altrimenti del suo colorato e immarcescibile Don Chisciotte (la prima: il 24 settembre 1980) e persino del suo controverso Lago dei cigni . Balletto psicologico e incline a una lettura wagneriana, il Lago fu acquisito nella stagione 1989-90 e fu l’ultimo allestito, in presenza della celebre e amatissima star, sul palcoscenico del Piermarini. Nureyev si era infatti ritagliato il ruolo del precettore Wolfgang ma anche del cattivo mago Rothbart. Dopo essere stato tante volte “principe” meraviglioso, ma ormai dilaniato alla malattia che lo condurrà alla morte, non smetteva di amare la scena. Proprio nel Lago, il più oscuro, tormentato e forse meno riuscito dei suoi balletti (c’è anche Cendrillon, Cenerentola entrata postuma nel repertorio scaligero, il 18 dicembre 1998), il divo sembra evocare proprio nelle vesti di Rothbarth i fantasmi del suo difficile passato: il potere di suo padre e quello sovietico per gridare al mondo la necessità di una vita da sognare, in libertà.

 

 

 

Scheda biografica

Rudolf Hametovitč Nureev (Nureyev) nasce il 17 marzo 1938 su un treno, sulla Transiberiana, nella zona che va dal lago Bajkal a Irkutsk; il nonno, Nuri Fasli, di origine tartara, con la russificazione sovietica, mutò il cognome in Nureyev, ovvero figlio di Nuri. Il padre Hamet, soldato nell’Armata Russa, trasferisce la famiglia a Ufa. L’infanzia del futuro ballerino è difficile e piena di stenti. Più ancora opprimente è l’ostilità del padre quando capisce che l’unico suo figlio maschio non vuole intraprendere la carriera militare ma dedicarsi all’arte. Nel 1953 partecipa come mimo ad alcuni spettacoli di balletto del Teatro dell’opera di Ufa; due anni dopo viene ammesso alla celebre scuola “Agrippina Vaganova” nella classe di Aleksandr-Ivanovič Puškin, che considererà sempre il suo unico e vero maestro.
Dal 1957 è già il fenomeno della compagnia del Teatro Kirov dell’allora Leningrado, che lascia, il 17 giugno 1961, chiedendo asilo politico alla Francia durante una tournée della stessa compagnia, a Parigi. Da allora si esibisce in tutto il mondo e in balletti non solo d’impostazione accademica; ama collaborare con coreografi del suo tempo, come Maurice Béjart o George Balanchine. Nel 1974 crea un gruppo “Nureyev and Friends”, agile e flessibile e che avrebbe fatto scuola anticipando altre consimili formazioni mobili come “Bolle and Friends”.
Accumulò una fortuna; comprò case, ville, persino l’isola Li Galli, davanti a Positano, che già era appartenuta a un grande del balletto, Lèonide Massine. Si dedicò anche al cinema nel Valentino di  Ken Russell, calandosi alla perfezione nella crudele biografia del bel seduttore venuto dall’Italia. Il 10 settembre 1983 diviene direttore artistico del Balletto dell’Opéra di Parigi, incarico che mantiene sino al 1990.
Si dedica poi alla direzione d’orchestra, esibendosi, in questa veste anche in Italia. Provato dalla malattia, allestisce La bayadère all’Opéra di Parigi, mostrandosi per l’ultima volta al pubblico anche per ricevere dal ministro Jack Lang la carica di Commendatore delle Arti e delle Lettere. Muore di Aids a Parigi, il 6 gennaio 1993, all’età di 54 anni.

Raccolte

Rudolf Nureyev