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Il corsaro

Al Teatro alla Scala il più famoso passo a due del balletto Il Corsaro debuttò a firma Rudolf  Nureyev (vedi scheda), interpreti lo stesso divo e Margot Fonteyn, il 16 settembre 1966, assieme a Margherita e Armando, per la coreografia di Frederick Ashton. Se Nureyev, che proveniva dalle file del balletto del Kirov (o Marinskij, come si chiamava quando fu fondato e come è tornato a chiamarsi oggi) ne ripresentò i passi e le variazioni sul ricordo del balletto in tre atti e cinque quadri allestito nel 1899 da Marius Petipa e più volte ripreso nel suo teatro d’origine, e che dunque Nureyev aveva interpretato in gioventù, la Scala poteva vantare un’edizione originale unica e integrale, risalente al 1826. In quell’anno il coreografo Giovanni Galzerani fece infatti rappresentare sul palcoscenico milanese il suo Corsaro, tratto dall’omonimo poema di Lord Byron, e su musica di vari autori, “conseguendo un successo così clamoroso”, – scrive lo storico e critico Luigi Rossi nel suo testo  ‘Il Ballo alla Scala 1778-1970’ “ da lasciare per un momento l’illusione di poter tornare alla felice stagione dei deliri per i coreodrammi di Salvatore Viganò”.
Nureyev puntò sul passo a due di un Corsaro di tradizione russa, un sicuro cavallo di battaglia sulla musica di Riccardo Drigo, diretta sul podio da Armando Gatto. Gemma purissima di tecnica accademica nella sua rituale scansione in adagio a due, variazioni in a solo e coda il grand pas de deux da Il Corsaro è una delle più alte prove di virtuosismo per una coppia di danzatori. In costumi orientaleggianti, Nureyev, a torso nudo nel suo costume orientaleggiante coronato da una piuma in capo, esibì la sua energia e tutto il suo carisma in balzi prodigiosi. Al proposito ecco le parole di Amedeo Amodio,  ballerino della Scala poi diventato anche famoso coreografo: “Un ballerino può portare in capo la piuma del Corsaro, ma non essere affatto il Corsaro, potrebbe essere qualunque altra creatura. Lui, Nureyev, no. Quella sera (il 16 settembre 1966 n.d.r.) anche se danzava soltanto nel passo a due era in tutto e per tutto il Corsaro, l’autentico Corsaro. Viveva il personaggio. Era completamente in lui; ne esprimeva l’anima totalmente: come indossava il costume, entrava nel personaggio”.

Ma. Gu.

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