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Esposizioni

All’inizio degli anni Venti il mercato artistico milanese appare tutt’altro che dinamico, gravitante intorno a pochi nomi di collezionisti privati e gallerie. Per gli artisti russi che emigrano in Italia o che si trovano qui di passaggio l’inserimento non è semplice, tanto più che nella critica italiana degli anni Venti vige un pregiudizio piuttosto radicato verso il cosiddetto “stile pseudo-russo”, inneggiante al cliché di una Russia esotica, misteriosa e primitiva. In un simile contesto, sarebbe pretestuoso stilare una lista ordinata dei criteri che portano alcune gallerie milanesi a ordinare esposizioni di artisti russi emigrati. Sono piuttosto concomitanze di casi, incontri, conoscenze, come quelle che portano Lino Pesaro, amico di Vittorio Pica, a ordinare, nel marzo del 1924, una personale di Pierre Besrodny alla Galleria Pesaro, in via Manzoni 12. La Galleria Pesaro si apre a un artista russo ancora una volta nel gennaio 1926, con un’esposizione di oltre quaranta opere tra quadri a olio, acquarelli e disegni a matita di Boris Grigorieff. Oltre alla Galleria Pesaro, che nel marzo 1927 ospita una personale di Teodoro Brenson, anche altre gallerie milanesi mostrano curiosità verso gli artisti russi, rappresentanti di diverse correnti e linguaggi figurativi, che approdano in Italia: la Galleria Scopinich di via S. Andrea 8 allaccia un fruttuoso rapporto di stima e collaborazione con Alessio Issupoff, pittore vicino al naturalismo-impressionismo russo di derivazione francese e residente a Roma dal 1926, che è ospite della galleria milanese quattro volte tra il 1929 e il 1934. L’ultima grande vetrina milanese di arte russa degli anni Venti è la personale di Filipp Maliavine – la prima in Italia –, ordinata dalla Galleria Bardi di via Brera 16 nel febbraio del 1929. Le opere esposte, una novantina, evidenziano la predilezione di Maliavine per soggetti tratti dalla vita popolare russa: contadine avvolte in lunghi sarafan e scialli klimtianamente mosaicati di mille colori, feste campestri, candidi paesaggi invernali macchiati dal rosso e dall’oro delle cupole di chiese ortodosse.

Gli anni Trenta vedono un cambiamento di scenario nel mondo delle gallerie milanesi. Smaltita l’ubriacatura del “folklorismo di dubbia generazione slava” e dello “pseudo spirito orientalistico” (così sprezzantemente denominati da Carlo Carrà) che avevano dominato l’atmosfera culturale italiana degli anni Venti, i riflettori accendono ora sull’astrattismo di Vasilij Kandinskij alla Galleria Il Milione, sul Neo-umanesimo di Filippo Hosiasson alla Galleria Milano, sul realismo magico di Gregorio Sciltian alla Galleria Scopinich e al Palazzo della Permanente – artisti per cui la sola definizione di “russo” sarebbe riduttiva, tanto profondamente riuscirono a radicarsi nella realtà europea e ad appropriarsi dei suoi linguaggi. Artisti russi legati a linguaggi pittorici più convenzionali sono Boris e Inna Zueff e Natalia Kahl, più volte ospiti di Casa d’Artisti, e Ivan Karpoff alla Galleria Geri.