Sylvia
Nel 1950, Balanchine preparò un passo a due dal terzo atto del balletto Sylvia per altrettanti campioni della sua compagnia, Maria Tallchief e André Eglevsky: gli stessi che interpretarono il duetto, su partitura di Léo Delibes, alla Scala, nel 1953. Balanchine amava la musica di Delibes, come il compatriota e amico Igor Stravinskij, ma non pensò mai di allestire una sua versione completa del balletto francese, creato da Louis Mérante del 1876. Non amava la letteratura danzata, neppure quella aulica e l’ottocentesco Sylvia, dedicato all’amore del pastore Aminta per la ninfa del titolo, sacra a Diana, era rocambolescamente espunto dall’Aminta di Torquato Tasso.
Con inevitabili varianti, la coreografia di Mérante era stata invece ripresa al Teatro alla Scala molti anni prima, nel 1896, dal coreografo Giorgio Saracco, protagonista la celebre Carlotta Brianza, l’Aurora della Bella addormentata pietroburghese di Marius Petipa.
Da allora, Sylvia sparì dal repertorio milanese; anche il passo a due di Balanchine, con i costumi della prediletta Karinska e gli effetti di luce di Rosenthal, dopo la seconda recita del 28 settembre 1953, non si vide più alla Scala. (Ma.Gu.)