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New York City Ballet

La riapertura del Teatro alla Scala, nel 1946, coincise con un progressivo allargamento della politica artistica verso i settori più sensibili del teatro di musica  internazionale. Parallelamente a quanto accadeva per l’opera, anche per il balletto si adottarono misure adatte a rompere quel chiuso cerchio autarchico che rischiava di far scivolare lo spettacolo di danza in un gretto provincialismo. Poco alla volta furono invitati coreografie e ballerini stranieri, ma anche grandi complessi internazionali. Il New York City Ballet, diretto dal russo-americano George Balanchine, apparve  dall’8 al 13 settembre e dal 22 al 29 settembre 1953 con una straordinaria e lunga serie di balletti, non solo a  firma dell’ormai celebre direttore-coreografo che aveva acquisito la cittadinanza americana, ma anche del direttore aggiunto Jerome Robbins (i suoi titoli: La Gabbia, L’età dell’ansia, Pomeriggio di un fauno, Il suonatore stravagante, Fanfara replicato per due sere) e di Antony Tudor (Il giardino dei lillà, pure replicato per due sere).
George Balanchine aveva fatto la sua prima apparizione alla Scala nel 1927, come interprete dei Ballets Russes di Sergej Djagilev, e nel 1952 aveva mostrato la sua genialità di coreografo allestendo Balletto imperiale per i ballerini del Teatro. Quest’ultimo avvenimento e il suo successivo ritorno alla testa della compagnia statunitense furono opera della lungimiranza di Aurelio Milloss, l’artista che Arturo Toscanini aveva chiamato a dirigere il Corpo di Ballo della Scala ricostruita.  Nel 1953, oltre a La Valse e al secondo atto del Lago dei cigni, titoli già noti al pubblico milanese, Balanchine presentò due sole coreografie conosciute grazie ai Ballets Russes di Djagilev : La Bourrée Fantasque e L’uccello di fuoco; quasi tutti gli altri balletti sono rimasti nel repertorio sino a oggi.