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Cleopatra

Una prima versione del balletto Cléopâtre di Michail Fokin, su musica di Anton Arenskij con aggiunte da Tanéev, Rimskij-Korsakov, Glinka, Mussorgskij e Glazunov, debuttò al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo nel 1908 con il titolo Une Nuit d’Egypte. L’impresario Djagilev lo scelse per il debutto parigino della neonata compagnia dei Ballets Russes, avvenuto il 2 giugno 1909.  Gli interpreti principali – Anna Pavlova, Ida Rubinštein, Tamara Karsavina, Vaclav Nižinskij e Fokin stesso – danzavano entro il sontuoso e imponente allestimento scenico di Léon Bakst che rappresentava l’esterno di un tempio, con massicce figure intagliate nella roccia; da lontano si udiva lo scorrere delle acque del Nilo. Quando Djagilev riprese il balletto a Londra, nel 1918, commissionò nuove scene e nuovi costumi a Robert e Sonia Delaunay, poiché quelli di Bakst erano stati distrutti da un incendio durante una tournèe in America del Sud.

Con questo stesso décor il balletto comparve al Teatro Lirico di Milano nel 1920,  interpreti principali Lidija Sokolova, Ljubov’ Černiševa e Léonide Massine, senza suscitare particolare interesse. D’altra parte il balletto che raccontava dell’improvviso innamoramento di Amoun per la regina Cleopatra, e di come a questo nobile arciere, fidanzato della sacerdotessa Ta-hor a lui destinata dal grande sacerdote, fosse concessa una sola notte d’amore con la perfida regina, seguito all’alba dal suo imprigionamento e dalla sua morte, il pubblico della Scala e soprattutto la critica, aveva già destinato giudizi velenosi.

Il balletto Cleopatra, infatti, si era affacciato sul palcoscenico del Piermarini  il 4 gennaio 1911, con lo stesso Fokin (Amoun), Ol’ga Preobrazenskaja (Ta-hor), Vera Fokina (una ballerina, nel piccolo gruppo di interpreti italiani) e Ida Rubinstein (Cleopatra) alla testa di una compagnia da lei formata assieme a Fokin ( e che ebbe vita breve, sino al 1913) per mettersi in concorrenza con Djagilev e i suoi Ballets Russes. Fu un vero scandalo. L’ “Illustrazione italiana”  diede subito il resoconto dei momenti più scottanti dell’evento. “Nella cassa tutta scintillante di gemme [Cleopatra] dormiva torbida e fasciata nell’immobilità di una mummia; come una cosa morta la sollevarono, e mentre era ancora torbida e con atteggiamenti ieratici distendeva le braccia, le tolsero i veli a uno a uno, e l’affascinatrice, come farfalla uscente da crisalide, apparve bella nella sua mal celata nudità”, ovvero nella mise liberty che Léon Bakst (all’epoca i costumi e le scene erano ancora del pittore e scenografo russo) aveva disegnato per lei.

Questo spogliarello non fu l’unica scena a scatenare un putiferio: v’era anche il baccanale della notte d’amore, concessa da Cleopatra all’arciere Amoun che lei stessa aveva acceso di desiderio. E pure lo spasmodico bacio dei due amanti dopo l’amplesso, separati dall’imminente morte cui Amoun era stato predestinato. Niente di simile si era mai visto alla Scala, tanto che lo scandalo fu di tali proporzioni da provocare l’intervento dell’Associazione per la moralità pubblica e della Lega dei padri di famiglia. Calmatasi la bufera sulla presunta amoralità,  il balletto , purgato nella scena del bacio, ottenne successo e totalizzò ventisette repliche, un bel numero, mai più eguagliato con la totale scomparsa della coreografia dalle scene scaligere, dopo il 1920. (Ma.Gu.)