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I quattro temperamenti

Secondo Ippocrate, il leggendario medico greco di Coo, nel corpo umano esisterebbero quattro umori: il sangue, spirito vitale che rappresenta il caldo e la vita, il flemma, circolante nell’organismo, la bile gialla epatica e la bile nera che la milza manda all’esofago. Questi umori corrispondono ai quattro elementi dei filosofi: terra, aria, fuoco e acqua e alle loro qualità, secco, freddo, caldo e umido, e pure al temperamento umano (sanguigno, flemmatico, collerico e melanconico). Anche se Balanchine soleva negare ogni appiglio tematico per i suoi balletti creati dopo l’esperienza coreografica nei Ballets Russes di Djagilev, I quattro temperamenti, su musica di Paul Hindemith si rivela lavoro sì intagliato nella musica, ma anche meravigliosamente ispirato al suo titolo.

Quando giunse al Teatro alla Scala, nel 1953, I quattro temperamenti aveva già sette anni di vita e aveva perso per strada le scene e i costumi originali di Kurt Seligmann per acquisire l’assetto spoglio, in calzamaglie e fondale luminoso, tipico dei balletti concertanti di Balanchine. Il debutto americano, nel 1946, era avvenuto grazie ai più brillanti talenti della Ballet Society, poi confluiti – come questo capolavoro – nel New York City Ballet. Così il palcoscenico del Piermarini, impreziosito dalle sole luci di Rosenthal, accolse dopo l’esposizione del Tema per tre coppie, la Malinconia, suggerita dalla prima variazione con un mirabile assolo di un danzatore presto raggiunto da due ballerine e da quattro donne “misteriose”, indi il valzer del Sanguigno per una coppia affiancata da un gruppo (seconda variazione). Con il ridanciano scherzo del Flemmatico, nasceva la terza variazione, anche qui – come nel primo movimento – grazie a un danzatore solista, poi conquistato da quattro colleghe.

Proprio l’assolo di una ballerina infuocava il movimento detto Collerico (quarta variazione) prima del finale intervento dell’insieme, che riassumeva i vari temi già esposti.

Il pubblico della Scala rimase conquistato da “questa cattedrale che non si limita a riprodurre figurativamente il pentagramma, ma ne offre una geniale metafora drammatica”, come ebbe a scrivere il critico Vittoria Ottolenghi, nel 1976. La fortuna del balletto infatti non si esaurì con la seconda replica del settembre 1953. I quattro temperamenti tornò alla Scala nel marzo 1962 e da allora fu interpretato solo dalla compagnia del Teatro, come nel 1970, nel ’71 e ’72 e sino alla fine del Novecento. (Ma. Gu.)