La valse
Pochi balletti degli anni Venti del secolo scorso hanno subito il tormentato destino di La Valse, comparso al Teatro alla Scala “con la Signora Ida Rubinstein e tutta la sua compagnia” il 14 marzo 1929. La coreografia era firmata da Bronislava Nijinska , le scene e i costumi da Aleksandr Benois. Il compositore Maurice Ravel aveva ideato questo balletto nel 1906, ma ne completò la partitura solo nel 1920, su commissione di Sergej Djagilev. L’impresario dei Ballets Russes però la rifiutò poiché, a suo parere, non si prestava a essere danzata, bensì solo ascoltata in concerto.
Nel 1928, dunque un anno prima di giungere alla Scala, il balletto vide comunque la luce a Monte Carlo con la coreografia della Nijinska che la concepì in stile astratto. Le danzatrici erano vestite in collant di lamé dorato, gli uomini in calzamaglia blu. Il balletto si presentava come una successione di entrées “gratuite”, l’assenza di scene donava all’insieme un carattere atemporale. Questa realizzazione non piacque a Ravel; la Rubinstein, che pure l’aveva promossa, commissionò una scenografia e impose alla Nijinska di reinventare la coreografia.
Nella nuova edizione, La Valse ebbe il suo debutto assoluto alla Scala, appunto nel 1929. Ciò che il pubblico milanese vide, in realtà senza grande apprezzamento, nonostante la bellezza e l’attrattiva di due interpreti come Ida Rubinstein e Anatole Vilzak, fu una specie di apoteosi del valzer viennese.
La scena rappresentava, secondo le precise indicazioni di Ravel, un ricco salone del Secondo Impero. In fondo, dietro a cortine aperte, s’intravedeva una seconda sala. Nel primo salone, due o tre dame sedevano su di un divano, e un’altra, che sedeva sola, riceveva l’omaggio del maggiordomo. Iniziava il valzer delle dame; altre signore entravano accompagnate da ufficiali in divisa di gala. A piccoli gruppi o solitarie nuove coppie formavano varie figure in contrappunto con partner danzanti sul fondo scena. Oscillante tra sogno e realtà, la musica sosteneva la bruciante immaginazione di un danzatore rapito dal desiderio, ma neppure la bacchetta di Ernest Ansermet (poi sostituito da Gustave Cloez) riuscì a scaldare gli spettatori della Scala.
A un’altra celebre bacchetta, quella di Gianandrea Gavazzeni, fu affidata la partitura di Ravel allorché La Valse ricomparve alla Scala nel marzo 1948, sei anni dopo la ripresa del titolo a cura della ballerina e coreografa Nives Poli. Questa volta la coreografia era firmata da Serge Lifar, al suo debutto scaligero in veste di coreografo, e da Nicholas Zverev (o Zvereff in locandina) e le scene e i costumi erano stati affidati al figlio di Aleksandr Benois, Nicola.
Nulla di cambiato, tra gli interpreti del corpo di ballo scaligero, tranne il direttore d’orchestra, Capua, nella ripresa dell’ottobre dello stesso 1948 sino a che nel settembre 1953 il titolo di Ravel non ricomparve sotto l’egida del New York City Ballet e del suo celebre direttore-coreografo, George Balanchine, che aveva fatto la sua prima apparizione alla Scala nel 1927, come interprete dei Ballets Russes di Sergej Djagilev.
Ora la compagnia newyorkese di cui era alla testa da cinque anni era stata invitata alla Scala per un intero mese (8 settembre -1 ottobre 1953) con numerosi balletti, il primo dei quali fu appunto La Valse, ripreso in America dal grande coreografo già nel 1951 con gli stessi costumi di Barbara Karinska e gli effetti di luce di Jean Rosenthal. Alla partitura originale, che fungeva da coda, Balanchine aveva aggiunto gli otto Valses nobles et sentimentales composti da Ravel nel 1911; il primo era l’ouverture del balletto. Colpito da un’annotazione del compositore in una lettera al conte di Salvaudy – “Danziamo sopra un vulcano…” -, nella sua nuova versione Balanchine introduceva anche la morte: un uomo in nero che adornava con gioielli scuri una danzatrice vestita di bianco. La coreografia pareva disintegrarsi, in taluni momenti, proprio come la musica, suscitando molta ammirazione tra il pubblico anche per l’alta qualità tecnica ed espressiva di tutti gli interpreti.
Tra il luglio 1958 e il febbraio 1960 una quinta La Valse sarebbe poi apparsa alla Scala, quella inglese di Frederick Ashton, ma nell’interpretazione del Corpo di Ballo scaligero e ancora in auge nella stagione 1970-71.